da Fljotavik » dom feb 08, 2009 7:32 pm
Ecco cosa dice la monografia di ondarock a proposito di "Finally we are no one".
Pubblicato, come il precedente, in doppia versione in inglese e in islandese, dall'inglese Fat Cat Records (la stessa che ha fatto conoscere i Sigur Ròs), pensato e composto nel totale isolamento di un vecchio faro sulla costa islandese dove il gruppo si è rinchiuso per tre settimane, prodotto con l'aiuto di Valgeir Sigurdsson (già con l'altra islandese Bjork), il disco ripiega su un formato leggermente più definito e in un certo senso "pop" rispetto all'esordio. Sono molti di più i brani cantati, la lunghezza dei pezzi è generalmente più contenuta e l'elettronica lascia ancor più spazio alle melodie e agli strumenti acustici. Quello che non è cambiato, e che anzi è migliorato, è la straordinaria capacità del quartetto di dipingere atmosfere incredibilmente suggestive, soffuse e rarefatte, di risvegliare sensazioni profonde, di evocare paesaggi sconfinati e incontaminati: magistrali da questo punto di vista sono i due brani più lunghi e articolati del disco, gli otto minuti di "Half Noise", con la sua lenta, inesorabile discesa verso un abisso di silenzio appena solcato da rumori ambientali e i dodici minuti della conclusiva "The Land Between Solar Systems", nei quali le voci di Krìstin e Gyda si fondono in un sussurro che accompagna lo svolgersi del brano verso territori di sconfinata bellezza e malinconia. Ma sono tutti i brani a mostrare una qualità di arrangiamento superba, sia sul versante acustico (ascoltare per credere gli archi che chiudono "I Can't Feel My Hand Anymore") che su quello elettronico, come nello splendido singolo "Green Grass Of Tunnel".
Il risultato complessivo è un capolavoro di suggestioni sonore, che conferma il gruppo come una delle realtà più pregevoli della musica contemporanea e conferma l'Islanda come autentica miniera di musicisti capaci di andare a toccare le corde più sensibili dell'inconscio. Come dice lo stesso Orvar Smàrason: "Ci piace ascoltare quali sensazioni possano evocare le nostre canzoni. Quando componiamo e suoniamo non abbiamo alcuna intenzione di veicolare chi ascolta verso particolari atmosfere. È musica che nasce spontanea e che evidentemente non viene percepita allo stesso modo e dunque c'è chi immagina paesaggi, c'è chi la utilizza per proprie storie fantastiche e c'è chi si lascia cullare a mente libera. Quello che vogliamo è fare in modo che ognuno dei nostri ascoltatori possa dare la propria interpretazione in base alle emozioni che le nostre parole e le nostre note suscitano"
Oh thou that bowest thy ecstatic face