A proposito di nomi (ma non di gemelle sviluppate), ho trovato questo articoletto in rete
http://www.weekendance.com/PRESS/sigurros_2.htmlche vi posto per intero in basso, casomai vi mancasse la forza di cliccare sul link.
Ora, al 99,999% sapevate queste cose o avevate già letto questa intervista. Nel caso potreste far finta di non sapere questa cosa e complimentarvi con me dicendo cose tipo "Cacchio Roberto, ma lo sai che questa cosa non la sapevamo proprio?" Giusto per incoraggiarmi, sono stanco di arrivare sempre ultimo come Melandri
Sigur Ros: niente più strategia dell’oscurità, o quasi
di: Fabio De Luca
E’ un paradosso, o forse un divertente contrappasso, che parlando con i Sigur Ros si finisca sempre con l’affrontare l’argomento "titoli". Ovviamente pesa non poco il precedente dell’album datato 2002: quello che non solo non aveva un titolo - giusto due segni di parentesi, () - ma nessun titolo indicava neanche per le otto canzoni in esso racchiuse. A qualcuno sembrò una presuntuosa strategia oscurantista, anche se a prevalere fu il partito di chi vedeva in quella scelta una lucida continuità con l’estetica austera e un po’ penitenziale della band islandese, e soprattutto con il suo suono: fumoso, cerebrale, avvolgente come pu˜ esserlo un rock dilatato e quasi "ambient", e in più cantato in una sorta di "lingua perduta delle gru" inventata dai Sigur Ros stessi, l’"hopelandic".
Tre anni dopo, rieccoci a parlare di titoli. Una delle canzoni del nuovo disco (stavolta un nome ce l’ha: Takk...) si intitola Mìlanò, e nonostante gli accenti di traverso sembra proprio un omaggio alla metropoli lombarda... Georg, il bassista, al telefono dal loro studio (ricavato dentro una ex-piscina nell’entroterra poco fuori Reykjavik), spiega come sono andate le cose. "Spero di non deludere nessuno rivelando che non è un omaggio alla città di Milano", dice. "O meglio: indirettamente lo è, perchè ogni volta che ci è capitato di suonare a Milano ci siamo sempre trovati molto bene. Ma l’origine del titolo è davvero banale. La prima volta che abbiamo suonato quella canzone è stato durante un concerto a Milano, due anni fa, e allora - come spesso accade alle canzoni nuove - non aveva ancora un titolo, dunque tutte le volte che tra di noi ci riferivamo a quella canzone la chiamavamo "quella che abbiamo suonato a Milano". Alla fine è sembrato naturale chiamarla così". Nessuna "strategia dell’oscurità" più o meno deliberata, dunque? "Nessuna oscurità" assicura Georg. "E’ strano come ci portiamo dietro questa fama di essere persone oscure, perch in realtà non lo siamo per nulla. Il fatto che sul precedente album le canzoni non avessero un titolo nella nostra intenzione doveva essere una provocazione divertente: un modo per dare tutta l’importanza alla musica e nessuna al contorno, cio a noi stessi. Invece molti l’hanno interpretata come una presa di posizione filosofica, una ricerca di oscurità. Non c’è nulla di oscuro, il fatto è che siamo pigri. Trovare i titoli alle canzoni è una fatica a cui rinunciamo volentieri!".
Nel nome della rinuncia all’oscurità con Takk... i Sigur Ros hanno in parte abbandonato anche la lingua hopelandica di loro invenzione. Stavolta si esprimono in islandese: "Takk" ad esempio significa "grazie". "Perchè", dice Georg, "tra le persone non ci si ringrazia mai abbastanza, e invece la cortesia è un valore importante". Ok, ma quella canzone dal preoccupante titolo Heysàtan? Non nasconderà mica qualche evocazione del Maligno, vero? "Oh quella", ride Georg: "assolutamente no! Hai presente quando tagli l’erba e accumuli una grossa pila di fieno? Ecco, Heysàtan in islandese significa appunto "grosso covone di fieno". Puoi anche provare a suonare il disco al contrario: ti garantisco che non succede niente!".
(da: La repubblica XL, settembre 2005)