Iniziamo a parlare dei concerti italiani della settimana scorsa, postando recensioni trovate in rete o lasciando la nostra. Parto con questa (su Ferrara) che mi sembra molto carina.
"L’amore è dedizione, l’amore è fiducia, per qualcuno l’amore è rumore, qualcun’altro si innamora solo di venerdì e chi invece in modo nichilista sentiva che quell’amore lo avrebbe diviso per sempre dalla persona amata. Ma l’amore è anche sacrifico come quello di chi senza biglietto non voleva assolutamente mancare al concerto dei Sigur Ros a Ferrara, appostandosi fuori dal perimetro musicale, magari seduto sul muretto che circonda il castello Estense, occhi chiusi e orecchie tese all’ascolto della meraviglia in musica che di lì a poco avrebbe deliziato i propri padiglioni auricolari (ciao Alessio); Ma l’amore è anche fatica e sudore, lo sanno bene tutti quelli che Venerdì erano in quella Piazza, con un caldo afoso che pure a stare fermi e all’ombra non si trovava pace, qualche grado in più e la band rischiava di suonare davanti ad un pubblico nel frattempo liquefatto.
Il concerto inizia quasi puntuale e senza gruppi in apertura, alle 21,20 circa sono tutti sul palco, gli undici elementi prendono posizione: tre fiati, tre archi, due “jolly” che si divideranno per tutto il tempo tra percussioni, timpani, xilofoni, tastiere e chitarre, e i nostri tre eroi islandesi a dirigere l’orchestra, perchè di questo si tratta, rimasti orfani del polistrumentista Kjartan Sveinsson, amico fraterno e membro (quasi)fondatore dei Sigur Ros, il quale ha deciso di dedicarsi ad “altre cose” dando involontariamente una spinta sulla direzione del nuovo album, l’ennesimo capitolo da lasciare a bocca aperta per imprevedibilità e potenza compositiva, Kveikur, antitesi sonora del precedente ed etereo Valtari, che ad un solo anno di distanza ha ridefinito nuovamente, ed in modo più organico, i contorni dell’icelandic-sound cui il trio è conosciuto. E si parte proprio con l’uno-due “Yfirboro” e “Brennisteinn”, il primo ci introduce delicatamente nelle lande immaginarie e immaginate da Jonsi e soci, mentre il secondo pezzo arriva come un pugno in faccia, ritmiche e parti elettroniche sono aggressive, forse tra le più aggressive mai scritte dalla band, una stretta implacabile tra spire post-rock e certo metal dalle nebbie soffocanti. Jonsi e Georg non sembrano patire il caldo incastratosi in questa Piazza, vestendo le solite divise scure di ordinanza, mentre l’uomo dietro le pelli, Orri, stasera se ne sbatte delle regole autoimposte e, alla faccia dei compagni di banda, attacca la giacca al muro del camerino presentandosi sul palco con una più pratica e leggera canotta nera. “Kveikur” sarà giustamente il disco con più brani in scaletta, cinque, ed essendo la performance pervasa da una tensione elettrica trascinante l’album ad essere più penalizzato sarà proprio “Valtari” con la sola “Varuo” a fare gli onori delle impalpabili atmosferesigur-ros-ferrara2 percepite in quel disco. Tutte le canzoni hanno un proprio video, o sarebbe meglio definirlo visual, proiettato sullo schermo alle spalle dei musicisti: Dettagli e particolari ad alta definizione si alternano a scenari onirici in cui sono spesso presenti i 4 elementi della natura: profondità marine, bambini con maschere a gas, rocce su cui uomini come ombre comunicano tramite luci intermittenti, terreni lambiti da fumi che odorano di zolfo (la mia testa mi ha suggerito che quello era zolfo) e milioni di scintille che vagano e si scontrano nello spazio scuro di un led. Tutto volto a creare un legame ancor più stretto con l’immaginario sonoro che da sempre rimanda e viene sprigionato dalle composizioni degli islandesi. E poi con un semplicissimo artificio come quello di seminare il palco di lampadine impalate su aste di diverse altezze riuscire a donare un tocco di intimità che sulle note di “Svefn-g-Englar” viene quasi da commuoversi. E se le lacrime non sono scese è solo perchè c’era troppa gente intorno ma ti assicuro che i peli delle braccia erano talmente su da fare invidia ad un punk con la mohicana appena fatta.
E se la band al completo è stata impeccabile Jonsi ha dato l’impressione di venire da un altro pianeta. Ascoltando la sua voce dal vivo, la sua incredibile estensione, ti accorgi di quanto sia straordinaria rispetto alla sua versione registrata negli album. Un alieno che suona la chitarra in modo unico, con l’archetto che stride sulle corde, generando il suono di un altro universo. Un essere dalla voce angelica il cui occhio destro guarda al presente mentre quello sinistro è già perso altrove, forse in un futuro (musicale) dove probabilmente nessuno ancora osa mettere piede. Su “Hoppipolla” imbraccia il basso e incita il pubblico, con chiari gesti, a farsi sentire, unirsi al coro, mostrasi ancor più vivi e partecipi. E dalle prime file rispondono alla chiamata con il lancio di palloncini bianchi luminescenti e stelline scintillanti ad enfatizzare la canzone ed il momento. Sul finale di “Svefn-g-Englar” il cantante porta la seicorde sulla bocca ed intona il “ritornello” in hopelandic (il linguaggio usato da Jonsi, assolutamente privo di significato, ma con una valenza sonora accostabile a tutti gli effetti agli altri strumenti sul palco), quello che ne viene fuori è una melodia lontana e gelida ma che mette i brividi. E poi proprio sul finale, durante il bis in cui suoneranno “E-bow” e “Popplagið“ da ( ), su quest’ultima, man man che il crescendo si fa sempre più intenso e potente, come investito da un’estasi Jonsi inizia una danza a testa china nella quale travolgerà sia i corpi sudati e felici di chi è presente in Piazza Castello, sia fisicamente l’asta del microfono e le due lampadine poste ai suoi lati.
Alla fine quel che resta è la meraviglia impressa nelle pupille di chi sa di aver assistito ad un concerto fuori dagli schemi, di una band che ha fatto della “stranezza” il proprio punto di forza, influenzando nei decenni più o meno inconsapevolmente numerose band. Sembra strano dirlo adesso, dopo aver scritto questo live report, ma non ci sono parole per descrivere l’intensità emozionale in cui ci si immerge durante un live set dei Sigur Ros. L’unico consiglio da dare è quello di esserci. Tutto il resto sono solo parole che riempiono spazi bianchi e vuoti di una pagina qualsiasi di un sito musicale qualsiasi".
(Antonio Capone)
fonte: shiverwebzine.com