da greenplastic » ven gen 09, 2009 11:14 am
Il sole ci mise un po' a svegliarsi quella mattina. Forse dimentico del lavoro straordinario a cui era stato costretto da calcoli di astronomia. Eppure questa situazione durava da anni! Ma evidentemente anche i migliori possono sbagliare.
Il grigiore diffuso celava una tristezza ancora più profonda e veritiera. Nuvole di futile mollezza si disponevano irrequiete sullo sfondo.
Aspettò prima di uscire dal garage. Concesse qualche secondo di tempo al motore della macchina affinché si riscaldasse non proprio a sufficienza. E del resto l'aria era fredda. Poteva respirarla meglio. Se ne era accorta non appena aveva messo piede fuori dal portone. Poi si era messa a giocare col suo fiato divenuto visibile a causa del freddo stesso.
Uscì in fretta dal suo parcheggio. Non accese la radio. Voleva pensare. Ricordare.
Sentiva nella sua mente stanca voci. E raccomandazioni. Ma ne sorrideva serena. Il cuore batteva stazionario. La strada delle 8 e 30 di mattina era deserta. I giorni festivi alimentano il sonno della maggioranza delle esistenze. Ed oggi il sole insisteva ad unirsi a questa chissà perché nobile maggioranza.
Nevicava. Era la prima volta che vedeva la neve cadere e sciogliersi soffice sulle strade della sua città. Ed era la prima volta che portava la macchina sotto la neve. A volte accadono cose.
Era rilassata come mai negli ultimi venti mesi. E neanche la consapevolezza che stava compiendo l'azione che più la irritava dopo lavarsi i capelli e viaggiare in metro la distoglieva dal suo stato di innaturale tensione al minimo livello.
Cercava per quanto le era possibile di guidare cautamente. Sentiva la macchina già scivolare via in alcuni punti. Accelerò comunque il ritmo passeggiata-domenicale-del-nonno e raggiunse l'anello. Le corsie esterne erano completamente innevate e si tenne sulla destra.
Era affascinata da quel fenomeno. E non voleva trovare spiegazioni del perché il suo animo reagisse così. Dopotutto, era folle. E questo era stato riscontrato in diverse occasioni.
Le occorreva una mezz'ora per raggiungere la sua destinazione.
La mente intanto farneticava. Se il corpo le dava sensazioni positive, questo non poteva affermarlo per il suo coacervo.
Aveva troppe cose a cui pensare. Ora stava infatti buttando una mattinata che avrebbe dovuto sfruttare per studiare. Ma si convinceva che anche se avesse studiato, non sarebbe stata concentrata come voleva. Eppoi lo studio sarebbe stato disturbato dall'attesa delle notizie che sarebbero giunte in mattinata. In effetti, aveva fatto la scelta migliore.
Passò una mano tra i capelli lisci biondo cenere. Li scompigliò.
E si disse di smetterla con gli autoinganni. Glielo diceva sempre che non serviva. Ma non ne poteva fare a meno. Del resto, ognuno asseconda le proprie necessità. E se questo non è possibile (perché non sempre è possibile, perché non è tutto così disperatamente semplice), si costruiscono castelli di carte presso i quali alloggiare nella speranza che il fastidioso bambino di turno ritardi l'ora della sua iniziativa punitiva-dispettosa.
Per fortuna era sola in macchina. E già piangeva. E nonostante il tratto di strada che percorreva fosse in forte pendenza, e nonostante combattesse, la gravità vinceva spudoratamente.
E goccioloni di singhiozzi fanciulleschi repressi, ora si rifacevano con gli interessi.
Perché quando si sta per piangere, non lo si deve mostrare a nessuno. Oppure si tira su col naso, fingendosi raffreddati.
Immaginava e dava realtà al suo personale e strano dolore.
E il suo dolore erano quelle lacrime: niente di diverso.
Qualcosa di vero ci doveva stare. Il suo malessere la avvolgeva irriguardoso nei confronti di un'anima che non poteva far altro che prendere atto della situazione e chiedere perdono del suo misero essere.
E parlò ancora con le voci che la sbattevano spalle al muro, per rivelarle una nuova e sofferta verità. Ma pensava che il suo io nascosto la stesse nuovamente tradendo con frottole divertite e allora tutto ricominciava da zero. E si disperava. E s'accorse che era in prossimità della sua uscita.
Rallentò scostandosi sul margine destro e imboccò la nuova via che in breve l'avrebbe condotta dalla madre.
S'asciugò il volto con la mano destra, controllando contemporaneamente lo sterzo con la sinistra. Buttò un'occhiata allo specchietto retrovisore e si vide orribile nel trucco sparso disomogeneamente sulle guance, sul naso.
Aveva smesso di nevicare da una decina di minuti e a dire il vero ora la carreggiata era solo umida. Evidentemente la nevicata avvenuta chissà quanto precedentemente aveva tolto il disturbo e lasciato solo una immaginaria traccia del suo passaggio.
Si sforzò di distogliere il pensiero dai suoi tormentosi crucci che in effetti l'avevano turbata. Ora voleva quantomeno apparire presentabile e nessuno si sarebbe dovuto accorgere del suo pianto.
Attese al semaforo. E messa la freccia a destra, respirò profondo. Di nuovo si sollevò.
Mentre svoltava, si ricordò di quel tardo pomeriggio in cui sorprese la madre, seduta al tavolo della cucina, con la testa abbandonata su un palmo della mano a sua volta sostenuto dall'avambraccio poggiato sul tavolo stesso.
La turbò vederla grattare da chissà quanto indefinito tempo il parmigiano.
Banalmente, le chiese: - Come stai, mamma? -
Senza scomporsi, né rivolgendole lo sguardo, lei rispose: - Sono infelice, Laura. Sei mai stata infelice? Non lo so, ma credo proprio di sì, che anche tu sei infelice. -
Si ricordò che rimase immobile. E non osò parlarle. Si ricordò di essersene tornata in camera e chiusa in sé stessa in un ingiustificato silenzio stampa.
Intanto giunse a piedi dinanzi alla lapide della madre che come ogni volta le sorrideva inerme. Tranne quella mattina, che c'era qualcosa di triste in quegli occhi verdi grigi proprio come i suoi.
La madre se ne sarebbe andata un po' d'improvviso un po' no qualche settimana dopo.
Fissò la lapide. Cercò tracce della nevicata che doveva esserci senz'altro stata anche lì. Ma la terra era bagnata ovunque. E di bianco non se ne parlava.
Sistemò i fiori nei vasi. E mentre trafficava dietro una lastra di marmo, fu bianco.
Laura pianse nel prendere tra le mani quella poca neve che si bagnò in esse immediatamente.
Si ricordò che una volta amava Dio. Ma davvero! Oggi che aveva 28 anni si sarebbe detta una ortodossa integralista. Sorrise. Posizionò il vaso ricolmo di nuova acqua nel suo cilindro. Si ricordò che la madre la pregò di non smettere di sperare. Non tanto di credere, solo di sperare in quella Esistenza. Ma era ormai incoerente. E non voleva più nemmeno sperare. E tanti ricordi, troppi, tutti insieme.
Se ne andò in silenzio, testa china, tirando su col naso. Camminò velocissimamente verso la macchina e presto mise in moto.
Ora sentiva di essersi pericolosamente infilata nel tunnel del ricordo. Accese l'autoradio. Una voce familiare le ricordò subito che era il 29 febbraio.
Forse se ne era dimenticata.
Poi, mentre correva sulla corsia di sorpasso, un tir sbandò nella corsia affianco. Premette con forza sul pedale dell'acceleratore. Ma il tir scivolando perse completamente il controllo.
Si ricordò che la madre le raccomandava che è brutto morire il ventinove febbraio.
A VOLTE ACCADONO COSE